Incremento medio del 30% del carbonio organico nel suolo con punte fino oltre il 50%, risparmio di energia necessaria al ciclo colturale del 12% per il grano e del 18,4% per le leguminose, oltre a una riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera del
19% rispetto all’agricoltura convenzionale.

Sono alcuni dei benefici dell’agricoltura conservativa, evidenziati dallo studio “Conservation
Agriculture. Making climate change mitigation and adaptation real in Europe”, realizzato
da Ecaf, la federazione europea per l’agricoltura conservativa, di cui fa parte l’italiana Aigacos, e presentato nei giorni scorsi a Bruxelles dai rappresentanti dell’associazione
ad alcuni funzionari della Direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale dell’Ue.

I terreni coltivati con le tecniche del no tillage o del minimum tillage consentono di mitigare l’impatto ambientale delle attività agricole e quindi di diminuire i fattori che influenzano il cambiamento climatico, che tanti danni provoca proprio alla stessa agricoltura.

Inoltre, le superfici dove i residui colturali sono lasciati in superficie e non seppelliti dall’aratro, si arricchiscono di sostanza organica, sono meno soggetti a erosione e dilavamento e trattengono maggiormente l’acqua, riducendo perciò la necessità di irrigare e accrescendo la capacità di far fronte a stagioni particolarmente siccitose.

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I vantaggi economici
Un aspetto, quest’ultimo, importante soprattutto per le regioni mediterranee del continente, tant’è che il Paese europeo che oggi ha la maggior superficie agricola gestita con le tecniche conservative è la Spagna

Una delle mappe della ricerca mostra come anche l’Italia abbia tutto l’interesse a implementare la conversione, soprattutto al sud e al centro, zone maggiormente esposte a fenomeni di erosione e scarsa piovosità.

Ma l’agricoltura conservativa conviene anche alle tasche degli agricoltori: tutti quelli
che hanno convertito i loro terreni riferiscono di riduzioni dal 40 al 60% dei costi di gestione, tra risparmi di carburante, di ore lavorate e di minor usura dei mezzi. Un aspetto, quello economico, sempre più importante in un mercato delle commodity agricole globalizzato.

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La presentazione della ricerca di Ecaf sull’agricoltura conservativa alla DG Agricoltura

I vantaggi ambientali
Secondo il report, se nel Vecchio continente si convertissero all’agricoltura conservativa tutti i terreni adatti a questa pratica, tra colture annuali e permanenti, si potrebbe avere un incremento annuo della fissazione di sostanza organica nel suolo pari a 51 milioni e mezzo di tonnellate, mentre la riduzione delle emissioni di CO2 sarebbe di circa 190 milioni di tonnellate.

Sempre sommando colture annuali e permanenti, oggi nell’Ue a 28 gli ettari dedicati al no tillage sono poco più di cinque milioni. Ecaf stima che ci sono altri 104 milioni di ettari potenzialmente convertibili.

In Italia sono circa 420mila gli ettari dedicati all’agricoltura conservativa, ma il documento realizzato grazie al contributo del professor Michele Pisante dell’Università di Teramo e di altri colleghi internazionali, attribuisce al Belpaese un potenziale di poco meno di otto milioni e mezzo di ettari, quindi venti volte tanto.

Le tonnellate di sostanza organica fissata nel terreno sono poco più di 360mila, mentre si potrebbe arrivare a superare i sette milioni. La quantità di CO2 “risparmiata” con il no tillage dall’Italia è oggi di un milione e 300mila tonnellate, quella potenziale supera i 26 milioni di tonnellate.

Sempre per quanto riguarda il nostro Paese, stando ai calcoli dei tecnici Ecaf, se l’agricoltura conservativa occupasse tutti i suoli disponibili, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica sarebbe pari al 24,28% della quantità di CO2 che l’Italia si è impegnata a non immettere più in atmosfera entro il 2030 in base agli accordi di Parigi. Insomma: l’agricoltura potrebbe dare una grossa mano a raggiungere l’obiettivo.

Simone Martarello