Sebbene oggi l’agricoltura rigenerativa stia suscitando un interesse crescente, non rappresenta affatto un concetto nuovo. Le sue radici affondano profondamente in antichissime tradizioni agricole praticate da culture indigene in tutto il mondo. Molto prima che il termine fosse coniato, queste comunità preservavano la fertilità del suolo, la biodiversità e l’equilibrio ecologico mediante pratiche che la scienza moderna sta solo ora iniziando a convalidare. In Mesoamerica, il sistema Milpa, noto come il sistema delle “Tre Sorelle”, prevedeva la coltivazione congiunta di mais, fagioli e zucche in un’associazione simbiotica che arricchiva naturalmente il suolo e proteggeva le colture.
L’agricoltura a terrazze delle Ande preveniva l’erosione e gestiva sapientemente le risorse idriche, mentre i sistemi tradizionali dell’Asia, dell’Africa e dell’Oceania integravano l’allevamento, la rotazione delle colture, il compostaggio e i periodi di maggese, in un approccio che oggi potremmo definire “permacultura”.
Un aggettivo introdotto negli anni ’80
L’ascesa dell’agricoltura industriale tra il XIX e il XX secolo—con fertilizzanti sintetici, pesticidi, monocolture e meccanizzazione—ha comportato un aumento significativo delle rese, ma a scapito della salute del suolo, della biodiversità e della resilienza delle aree rurali. Questo ha dato origine a un movimento di risposta, dai pionieri dell’agricoltura biologica come Sir Albert Howard e J.I. Rodale, fino ai più ampi sforzi in direzione dell’agricoltura sostenibile nella seconda metà del Novecento. È stato proprio il Rodale Institute, negli anni ’80, a introdurre il termine “agricoltura rigenerativa”, con Robert Rodale che sosteneva come l’agricoltura non dovesse semplicemente “sostenere”, ma piuttosto “rigenerare” gli ecosistemi.
Dall’inizio degli anni ‘2000 l’agricoltura rigenerativa si è consolidata come un movimento globale. La ricerca scientifica ne ha evidenziato il potenziale nella cattura del carbonio e nel miglioramento della biologia del suolo, anche grazie all’adozione di strumenti avanzati come il test di Haney (analisi biologica del suolo che misura nutrienti disponibili e attività microbica) e il Solvita (test rapido che stima l’attività microbica del suolo attraverso la CO₂ rilasciata, utile per monitorare la vitalità biologica) e altri indicatori microbiologici.
Grandi aziende (General Mills, PepsiCo, Kellog’s) e Ong hanno integrato i principi rigenerativi nelle proprie strategie operative e comunicative, mentre iniziative guidate dagli agricoltori — come quelle promosse da Gabe Brown, Allan Savory e Joel Salatin — hanno dimostrato che redditività e tutela ecologica possono coesistere. A livello politico e finanziario, l’interesse per i sistemi rigenerativi è aumentato grazie ai quadri Esg (Environmental, Social and Governance), ai mercati del carbonio e agli investimenti nei servizi ecosistemici. Ciò che oggi chiamiamo agricoltura rigenerativa rappresenta in realtà una convergenza tra antichi equilibri e innovazione moderna — una risposta dinamica all’urgenza di costruire sistemi agricoli che riparino, anziché impoverire, la Terra.

Panoramica delle pratiche di agricoltura rigenerativa
L’agricoltura rigenerativa è un approccio agricolo olistico che mira a migliorare la funzionalità dei terreni agricoli attraverso il ripristino della salute del suolo (soil health), della biodiversità e delle funzioni ecosistemiche. Nella pratica agricola, ciò include l’uso ridotto della lavorazione del terreno, la diversificazione delle colture di copertura, l’integrazione del bestiame nella rotazione colturale e la massimizzazione della diversità vegetale e delle radici vive nel suolo. Una gestione efficiente dell’acqua di irrigazione è particolarmente importante nelle regioni aride e semi-aride.
L’obiettivo è aumentare in modo sostenibile la produzione di alimenti e fibre attraverso il miglioramento del suolo, principalmente mediante l’aumento della sostanza organica, contribuendo così anche a ridurre l’impronta di carbonio delle attività agricole. Sebbene il termine “agricoltura rigenerativa” sia diventato di uso comune nel XXI secolo, i suoi principi fondamentali si sono sviluppati nell’arco di oltre un secolo, combinando esperienze tradizionali e conoscenze moderne basate sul metodo scientifico. Il movimento è di portata globale e integra competenze provenienti da diverse regioni, adattandole ai paesaggi, alle pratiche e alle condizioni ambientali locali.
I principi dell’agricoltura rigenerativa risultano particolarmente efficaci nei climi temperati, umidi o semi-umidi, dove il degrado del suolo superficiale causato da pratiche agricole non sostenibili rappresenta una problematica critica. Alcune delle aree più colpite comprendono il Midwest, il Delta del Mississippi e le Grandi Pianure negli Stati Uniti, la Pampa Umida che si estende tra Argentina, Uruguay e parte del Brasile, e alcune regioni europee, come la Spagna, l’Italia e l’Europa orientale. Queste regioni sono caratterizzate da terreni agricoli altamente produttivi, ma soggetti a degrado del suolo e impoverimento nutrizionale.
Il Midwest, in particolare negli Stati delle Praterie (Iowa, Illinois, Kansas, Nebraska ecc.), ha registrato una significativa perdita di suolo fin dall’inizio dell’agricoltura su larga scala. Secondo stime, in alcune aree è stato perso fino al 50% dello strato arabile originario (topsoil) dall’epoca della colonizzazione europea nel XIX secolo. I tassi di erosione del suolo hanno raggiunto il picco durante il periodo del Dust Bowl (anni ’30 del Novecento), ma rimangono elevati a causa dell’agricoltura intensiva.
In Iowa si stima una perdita media di 12–18 cm di topsoil dall’insediamento, con alcune zone che hanno perso oltre 30 cm. Nonostante le misure di conservazione del suolo, alcune aree continuano a perdere fino a 11 tonnellate per ettaro di suolo per ettaro all’anno, una quantità che supera i tassi naturali di formazione del suolo. In questi contesti, approcci come l’agroforestazione, il ripristino della biodiversità e il miglioramento della salute e funzionalità del suolo possono generare benefici significativi, contribuendo al riequilibrio ecologico, al miglioramento della ritenzione idrica e del ciclo dei nutrienti, alla riduzione dell’erosione e al rafforzamento della sostenibilità complessiva dell’azienda agricola.

I cinque principi di un sistema di gestione della salute del suolo
L’implementazione di sistemi di gestione della salute del suolo può portare a un incremento della sostanza organica, a una maggiore diversità della comunità microbica e faunistica del suolo, alla riduzione della compattazione e a un miglioramento nella capacità di stoccaggio e riciclaggio dei nutrienti. Suoli in buono stato di salute sono in grado di assorbire e trattenere più acqua, rendendoli meno vulnerabili al ruscellamento e all’erosione. Questo si traduce in una maggiore disponibilità idrica per le colture nei momenti di maggiore fabbisogno.
L’agricoltura rigenerativa si basa su cinque principi fondamentali di gestione della salute del suolo:
-
Massimizzare la copertura del suolo
La copertura del suolo può essere massimizzata mediante la coltivazione di “cover crop” (colture di copertura), colture annuali e perenni, nonché attraverso il mantenimento di residui colturali e pacciamature vive sulla superficie. Le pratiche agronomiche che garantiscono una copertura costante durante tutto l’anno migliorano la salute del suolo e lo proteggono dall’erosione eolica e idrica.
-
Minimizzare il disturbo (lavorazione conservativa o semina su sodo)
La lavorazione del suolo può compromettere la sostanza organica e la struttura del suolo, oltre a distruggere l’habitat necessario agli organismi edafici. La lavorazione, in particolare nei mesi più caldi, riduce l’infiltrazione dell’acqua, aumenta il deflusso superficiale e può rendere il suolo meno produttivo. Inoltre, interrompe i cicli biologici naturali del suolo, danneggia la sua struttura e lo rende più vulnerabile all’erosione. I suoli gestiti con tecniche di minima o zero lavorazione per diversi anni tendono a contenere una maggiore quantità di sostanza organica e umidità disponibile per le piante.
-
Massimizzare la biodiversità vegetale
La biodiversità rappresenta il numero di forme di vita differenti presenti in un dato ecosistema o appezzamento agricolo. Include tutte le specie vegetali, animali e i microrganismi. Aumentare la diversità nella rotazione colturale e nelle colture di copertura migliora la salute e le funzioni del suolo, riduce i costi degli input e incrementa la redditività aziendale. Nei sistemi di gestione della salute del suolo, la biodiversità può essere aumentata attraverso molteplici strategie, tra cui rotazioni colturali diversificate, miscele di “cover crop”, corretta integrazione del pascolamento animale (es. bestiame) e l’impiego di ammendanti biologici.
-
Massimizzare un sistema radicale vivo
Le piante viventi sostengono la rizosfera, una zona di intensa attività microbica attorno alle radici. Quest’area rappresenta la parte più dinamica dell’ecosistema edafico, dove il ciclo dei nutrienti e dell’acqua raggiunge i massimi livelli grazie all’abbondanza di sostanze nutritive prontamente disponibili. Le radici emettono composti (carboidrati, amminoacidi, acidi organici, sostanze segnalatrici) che attraggono e nutrono i microrganismi, i quali a loro volta rilasciano nutrienti essenziali a livello dell’interfaccia suolo-radice.
-
Integrazione del bestiame nel sistema agricolo
L’integrazione degli animali nei sistemi colturali migliora la salute del suolo grazie alla fertilizzazione naturale tramite letame, che arricchisce la sostanza organica, stimola l’attività microbica e migliora il ciclo dei nutrienti. Il pascolamento stimola la crescita delle piante, favorendo lo sviluppo di apparati radicali più profondi che migliorano la struttura del suolo e la sua capacità di sequestrare carbonio.

Aree seminate a “cover crop” negli Usa
Secondo il censimento dell’agricoltura del 2022, pubblicato dal National Agricultural Statistics Service (Nass), agenzia statistica del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) sono stati seminati circa 7 milioni di ettari con “cover crop”, con una crescita del 17 % rispetto ai 6,2 milioni del 2017. Il Midwest e le Grandi Pianure (Kansas, Nebraska, North Dakota, South Dakota) dominano le superfici dedicate alle “cover crop”: in Texas vengono annualmente seminati circa 600.000 ha, in Iowa 520.000 ha, in Indiana 450.000 ha. Nebraska, Missouri, Illinois, North Dakota, Kansas, Minnesota e Wisconsin insieme rappresentano circa il 65 % del totale nazionale. Anche le regioni del Medio Atlantico (in particolare Maryland e Virginia) adottano intensivamente queste pratiche, ma in questo caso sono più mirate alla riduzione dell’impatto ambientale dovuto alle attività agricole e al miglioramento della qualità dell’acqua degli estuari.
Il Chesapeake Bay Watershed Initiative, originariamente finanziato attraverso il Bay Watershed Initiative (2008–2014, con circa 47 milioni di dollari/anno), oggi è integrato nel Regional Conservation Partnership Program (RCPP). Tra il 2014 e il 2018 questo programma ha ricevuto circa 68 milioni di dollari, con un impegno annuale previsto di 300 milioni (almeno il 50 % destinati all’area). Tra il 2018 e il 2020, NRCS ha sovvenzionato pratiche di conservazione su mezzo milione di ettari all’interno del bacino. Il Maryland mantiene il più ampio programma statale di incentivi, e nel 2018 ha sovvenzionato circa 200,000 ettari, con pagamenti fino a 250$/ettaro di incentivi all’agricoltore, sia per la ottimizzazione dei tempi di semina, sia per il finanziamento per le miscele di diverse specie di “cover crop”. La crescita delle superfici è sostenuta da investimenti significativi volti alla mitigazione dell’impatto ambientale dovuto ai fertilizzanti e sedimenti nel corso degli anni.
Adozione a livello nazionale del no-till e delle lavorazioni minime
La pratica del no-till viene oggi utilizzata su circa il 27–28 % dei terreni agricoli in Usa. In cifre assolute si stimano più di 42 milioni di ettari nel 2017, con un aumento a circa 44 milioni di ettari nel 2021. La lavorazione minima o conservativa (almeno il 30% della superficie del suolo deve restare coperta da residui colturali della coltivazione precedente, a semina avvenuta) raggiunge circa il 25 % dei terreni. Questa pratica viene adottata principalmente in Texas, Oklahoma, Kansas, (Praierie Gateway) e negli stati dell’Iowa, Indiana, Illinois, Minnesota, Michigan, Ohio (denominati stati del Heartland).
Le coltivazioni principali sono ovviamente il mais (37% delle superfici), la soia (33%) e il frumento (21%). Da ricordare che nella classificazione delle pratiche conservative viene anche inclusa la pratica dello “strip tillage” o lavorazione a bande, che combina i vantaggi della lavorazione convenzionale e della non lavorazione. Consiste nel lavorare solo una porzione stretta di suolo (una banda di 10-15 cm) dove verrà seminato, mentre il resto dell’interfila rimane non disturbato dalle lavorazioni e coperto dai residui colturali. Questa pratica viene ovviamente resa possibile dai nuovi sistemi di guida automatica assistita da Rtk (Real-Time Kinematic).
Nei sistemi più avanzati nella banda coltivata viene contemporaneamente applicata la concimazione di base, sia azotata, con ammoniaca anidra che fosforo e potassio, spesso a dose variabile. Anche le pratiche di non lavorazione o lavorazione minima sono incentivate dal Dipartimento dell’agricoltura, che nel 2014 ha erogato circa 224 milioni di dollari solo per il no-till.

Cambiamento strutturale in atto
L’agricoltura rigenerativa e le sue applicazioni negli Stati Uniti stanno emergendo come strategia efficace per ripristinare la funzionalità del suolo, aumentare la resilienza climatica e migliorare la sostenibilità dei sistemi produttivi. Sebbene persistano ancora ostacoli legati alla transizione tecnica ed economica, e anche al tipo di coltivazioni, l’interesse crescente da parte di agricoltori, ricercatori e istituzioni suggerisce un cambiamento strutturale in atto. L’integrazione di pratiche rigenerative rappresenta oggi una frontiera credibile per l’evoluzione dell’agricoltura verso modelli più resilienti e duraturi, che assicurino la preservazione del suolo per le generazioni future. È però importante ricordare che l’agricoltore americano adotta pratiche di agricoltura rigenerativa principalmente quando queste offrono vantaggi economici diretti oppure quando sono previsti sussidi in grado di compensare il lavoro aggiuntivo richiesto.




