Gli ecosistemi agricoli, inclusi quelli dedicati alle colture orticole, interessano una parte considerevole delle aree terrestri e svolgono un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza alimentare per oltre sette miliardi di persone. Per soddisfare la domanda di cibo in continua crescita, sono state adottate pratiche intensive che hanno provocato un progressivo degrado della qualità del suolo e dell’acqua. È dunque necessario adottare approcci che per rendere l’orticoltura più sostenibile da un punto di vista ambientale.

In questo contesto, l’agricoltura biologica potrebbe rappresentare un’opportunità concreta. Tuttavia, alcuni aspetti dell’agricoltura biologica sono dibattuti, come il ricorso alla lavorazione intensiva per preparare il terreno prima dell’impianto delle colture, per l’incorporazione di fertilizzanti organici e residui colturali o per controllare le erbe infestanti. È noto che il frequente ricorso a lavorazioni profonde che prevedono l’inversione del suolo può avere effetti negativi come il compattamento, la perdita di sostanza organica, una maggiore sensibilità verso i fenomeni erosivi, dunque, una perdita di fertilità nel complesso. Inoltre, tali pratiche possono richiedere alti consumi di carburante ed emissioni di gas serra.

Miglioramento della sostenibilità

L’introduzione di pratiche di lavorazione conservativa, come la minima e non lavorazione, potrebbe invece migliorare la sostenibilità dei sistemi agricoli biologici. Queste pratiche, infatti, conservano la salute del suolo e attraverso la riduzione di consumi di carburante e il sequestro di carbonio possono permettere anche di ridurre le emissioni di gas serra. Un esempio di minima lavorazione potrebbe essere l’impiego di macchine operatrici come coltivatori combinati che permettono di eseguire contemporaneamente l’interramento dei residui della coltura precedente o della cover crop e la preparazione del terreno per la coltura successiva. Mentre un esempio di non lavorazione potrebbe essere la semina o il trapianto sui residui della coltura precedente su terreno non lavorato.

Secondo uno studio dell’Università di Teheran, i sistemi agricoli in cui è prevista la non lavorazione possono richiedere circa 1/4 del carburante rispetto a sistemi basati su lavorazioni convenzionali profonde come l’aratura. Secondo studi condotti dall’Università di Pisa, l’adozione di tecniche di minima o non lavorazione può richiedere un periodo di adattamento in cui le rese produttive possono subire un calo temporaneo prima di stabilizzarsi o migliorare.

Rese competitive anche con la non lavorazione

A tal proposito, presso l’Università di Wageningen (Paesi Bassi) è stato condotto un interessante studio della durata di dieci anni in cui è stato valutato l’effetto della lavorazione convenzionale, della lavorazione ridotta e della non lavorazione sulla produzione biologica di diverse colture orticole. Tra queste, nel caso della patata la produzione ottenuta con la lavorazione convenzionale (100%) è simile a quella ottenuta con la ridotta lavorazione (96,9%) e la non lavorazione (98,6%); per la carota la lavorazione convenzionale (100%) ha ottenuto risultati migliori della minima lavorazione (84,8%) e non lavorazione (86,8%); mentre per la zucca la minima (101,3 %) e la non lavorazione (102,2%) hanno permesso di ottenere rese simili e leggermente maggiori rispetto alla lavorazione convenzionale.

Dunque, tendenzialmente, i risultati indicano che i sistemi di lavorazione ridotta e non lavorazione hanno potuto mantenere rese competitive rispetto alla lavorazione convenzionale.

Diversificazione e copertura permanente del suolo

Tra i principi dell’Agricoltura Conservativa rientrano inoltre la diversificazione delle colture e il mantenimento di una copertura permanente del suolo. L’uso delle cover crop in agricoltura biologica permette di soddisfare entrambi i principi e risulta molto interessante in quanto capaci di fornire tanti servizi ecosistemici positivi. Queste, infatti, migliorano la salute del suolo, possono prevenire il fenomeno della lisciviazione e incrementare la disponibilità di nutrienti utili per la coltura, promuovono la conservazione della biodiversità e contribuiscono al controllo delle infestanti. In agricoltura biologica le cover crop vengono spesso gestite come sovescio prima che la coltura da reddito venga seminata o trapiantata; dunque, vengono trinciate e interrate nel suolo.

La scelta della specie da sovescio dipende dall’obiettivo finale. Le leguminose sono preferite per la loro capacità di fissare e fornire azoto (N), mentre le non leguminose sono utilizzate per aumentare il carbonio organico nel suolo, migliorare la struttura del terreno, ridurre il dilavamento dei nutrienti e prevenire l’erosione. L’uso di una miscela di leguminose e non leguminose può permettere di ottenere benefici maggiori (foto 1).

Per quanto riguarda la produzione di pomodoro da industria, coltura esigente in azoto, il sovescio è sempre più riconosciuto come metodo vantaggioso, e l’adozione della miscela di cover crop composta da orzo e veccia si è dimostrata efficace. Questa miscela fornisce una biomassa con un buon rapporto C/N da incorporare nel suolo. Permette un accumulo stabile di azoto, garantendone una buona disponibilità per la coltura, riducendone al contempo il dilavamento rispetto all’utilizzo esclusivo della veccia come coltura di copertura. Per il sovescio è inoltre fondamentale tenere presente il momento di terminazione e interramento della cover crop che corrisponde al momento della fioritura sia per specie appartenenti alla famiglia delle graminacee che per leguminose.

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2. Cavolo su dead-mulch
3. Trapianto del finoccho su dead mulch

Un’interessante strategia alternativa di gestione delle cover crop consiste nel terminare le colture di copertura lasciando i residui come dead mulch (pacciamatura morta) sulla superficie del suolo, sui quali poi può essere realizzato l’impianto della coltura da reddito (foto 2 e foto 3). Questa pacciamatura naturale rappresenta un’opzione preziosa in agricoltura biologica.

La quantità di residui vegetali presenti sulla superficie del terreno è cruciale, in quanto maggiore è il residuo, migliore sarà la conservazione dell’umidità del suolo e più efficace risulterà il controllo delle erbe infestanti. Pertanto, al momento della scelta è importante selezionare essenze capaci di produrre una grande quantità di biomassa a lenta decomposizione.  Anche in questo caso, l’uso di miscugli di cover crop, come graminacee e leguminose, consente di ottenere benefici complementari. Le leguminose forniscono biomassa e rilasciano azoto, ma hanno un controllo delle infestanti limitato nel tempo. Le graminacee riducono la lisciviazione dei nutrienti e offrono una pacciamatura più duratura, ma possono causare l’immobilizzazione dell’azoto. Un miscuglio equilibrato combina i vantaggi di entrambe, garantendo una pacciamatura efficace e prevenendo l’immobilizzazione dell’azoto.

La terminazione delle cover crop può essere effettuata con il roller crimper, un rullo cilindrico dotato di lame di diverse forme disposte sulla sua superficie (foto 4). Durante l’utilizzo, le lame comprimono gli steli delle cover crop senza disturbare il suolo. L’azione principale consiste nello schiacciare gli steli senza solitamente tagliarli completamente, provocando lesioni che accelerano il processo di senescenza della vegetazione. Questi rulli non essendo azionati dalla presa di forza possono essere utilizzati a velocità relativamente elevate (circa 10 km/h).

I roller crimper permettono di ottenere residui più grandi garantendo una maggiore persistenza della pacciamatura rispetto a trinciatrici i cui residui più piccoli si degradano rapidamente e sono più soggetti ad essere spostati da vento o acqua. Questi rulli garantiscono anche una distribuzione omogenea della pacciamatura rispetto alla falciatura e questa caratteristica, insieme alla lunga persistenza, rappresenta un requisito essenziale per un efficace controllo delle infestanti.

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4. Roller crimper

Sistemi orticoli

Nei sistemi orticoli, particolarmente sensibili alla competizione, alla carenza di nutrienti e alle infestanti, il successo di una tecnica di non lavorazione come la pacciamatura morta in agricoltura biologica dipende in gran parte da una gestione attenta delle cover crop. Tra gli elementi chiave di questa gestione vi è il momento della terminazione. La terminazione ottimale della cover crop si ottiene quando il roller crimper è usato in fase di maturazione latteo-cerosa per le graminacee e in fioritura per le altre specie di cover crop. Se la terminazione delle cover crop avviene prima che queste raggiungano gli stadi fenologici appropriati, queste possono sopravvivere e competere con la coltura principale, causando significative perdite di resa.

Inoltre, i residui non adeguatamente disseccati delle cover crop possono anche rendere più difficoltosa la semina, perché più difficilmente penetrabili dalle attrezzature. A tal proposito, adattare la semina delle colture da reddito al momento ottimale per la terminazione delle cover crop potrebbe: (i) ritardare la semina delle colture da reddito con conseguenti perdite di resa; (ii) portare a ridurre il tempo tra il passaggio del rullo e la semina, causando problemi di insufficiente essiccazione dei residui ostacolando la semina. Per far fronte a questa problematica si cerca dunque di migliorare e accelerare l’azione di terminazione del roller crimper aumentandone il peso con acqua o zavorre, oppure effettuando più passaggi di rullatura (foto 5).

5. Roller crimper appesantito con serbatoio d’acqua

Un interessante studio è stato condotto dall’Università di Pisa in cui è stato valutato l’uso di roller crimper per la terminazione di cover crop in combinazione con pirodiserbo. È stato osservato che il pirodiserbo ha incrementato l’efficacia della rullatura e accelerato il tempo di terminazione della cover crop raggiungendo il 50% del disseccamento dopo una settimana, mentre con il solo passaggio del rullo dopo due settimane.

La terminazione delle cover crop con roller crimper ha inoltre dimostrato sostanziali vantaggi energetici e agro-ecologici rispetto alla pratica del sovescio, come la maggiore efficienza energetica e un maggiore accumulo di carbonio nel suolo. D’altro canto, i residui lasciati sulla superficie del suolo rallentano generalmente il tasso di decomposizione e il rilascio di azoto rispetto alla loro incorporazione (sovescio) con possibili effetti sulle rese degli ortaggi.

Dunque, sebbene la realizzazione del dead mulch offra benefici in termini di conservazione del suolo la sua applicazione in sistemi agricoli biologici può presentare alcune sfide.

Attenta gestione

Per concludere, l’adozione di pratiche conservative in sistemi agricoli biologici di ortaggi rappresenta una strategia promettente, ma richiede un’attenta gestione. Tecniche come la minima e non lavorazione, la scelta della cover crop da utilizzare e la gestione come sovescio o pacciamatura morta, devono essere adattate alle specifiche condizioni ambientali, alle colture e agli obiettivi produttivi. Sebbene non esista una soluzione unica, una calibrata integrazione di queste strategie può migliorare la salute del suolo, ridurre l’impatto ambientale e mantenere rese competitive. È quindi essenziale continuare a promuovere la ricerca e la collaborazione tra agricoltori e studiosi, così da progettare soluzioni mirate che consentano a questi sistemi di esprimere pienamente il loro potenziale nelle diverse realtà pedoclimatiche e agronomiche.

La bibliografia è disponibile presso gli autori


di Lorenzo Gagliardi, Sofia Matilde Luglio
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, Università di Pisa