I nodi da sciogliere per far decollare l’agricoltura conservativa sono diversi, ma uno dei principali è quello della gestione dell’acqua, soprattutto quando si verificano precipitazioni intense e concentrate. Una soluzione potrebbe essere quella di ammettere tra le lavorazioni consentite per usufruire dei fondi europei (affiancandolo alla decompattazione) il vertical tillage. Si tratta di una tecnica ampiamente utilizzata in Sudamerica e negli Stati Uniti, in particolare negli stati del nord, dove spesso si ha a che fare con “bombe d’acqua”.
Gli agricoltori lo sanno bene, se sono costretti a entrare in campo con mietitrebbie o trattori quando i terreni sono bagnati (soprattutto in primavera), si creano carreggiate dove la semina diretta sarà molto difficile se non impossibile, mentre se le piante sono già spuntate moriranno soffocate o avranno una crescita difficile con rese ridotte.
Pertanto, saltuariamente, si potrebbe concedere la possibilità di fare ricorso a due tecniche ampiamente in uso negli Stati Uniti (in particolare in Nord Dakota), in Brasile e in Argentina. La prima è l’uso del decompattatore, un attrezzo che lavora a una profondità di 40-50 cm e nell’avanzamento solleva il terreno, disgrega le zolle ma non ribalta il cotico, lasciando intatto lo strato superficiale con i depositi. Questa tecnica, inoltre, elimina la suola lasciata dalle lavorazioni precedenti, specialmente dall’aratro. La pratica, oltre a eliminare le carreggiate, permette alla pioggia di scendere più in profondità, evitando i ristagni nei periodi di precipitazioni intense e creando una riserva d’acqua che le piante sfrutteranno d’estate, quando le radici scendono nel terreno e l’acqua risale per capillarità. In questo modo si può risparmiare sull’irrigazione. Ma questo può non essere sufficiente.
Vertical tillage
Per aumentare il drenaggio dell’acqua, dopo aver eseguito la decompattazione si può far ricorso alla tecnica del vertical tillage, che consiste nell’utilizzare in campo un attrezzo con grandi dischi corrugati che passando sul terreno produce piccoli tagli verticali profondi da due a quattro centimetri. Ciò permette al terreno di asciugarsi più rapidamente.
Le due tecniche non influiscono sulla semina diretta, in quanto non ribaltano il terreno e aiutano la proliferazione dei lombrichi, essenziale per aumentare la fertilità del terreno.
Uno dei promotori di questa soluzione è Alberto Cavallini, agricoltore di Consandolo in provincia di Ferrara, dove coltiva mais, grano e soia su una superficie di 85 ettari, di cui 65 gestiti ormai da otto anni con semina diretta. «Ho sempre creduto in questo metodo – esordisce – dopo quattro anni ho dovuto interrompere perché ho avuto problemi con una seminatrice, ma dopo un anno di pausa ho ripreso e sono soddisfatto dei risultati. Senza lavorare il terreno risparmio circa 220 euro per ettaro l’anno a cui si aggiungono i contributi della misura 10.1.04. All’inizio le rese calano di circa il 10% – ammette Cavallini – un calo comunque ampiamente compensato da risparmio e contributi, inoltre, dopo qualche anno, la maggior fertilità del terreno riporta le rese ai livelli precedenti e anche superiori».
Il vertical tillage permette quindi di seminare anche in condizioni climatiche difficili, è compatibile con la semina diretta perché lascia il residuo sul terreno, non ribalta il cotico e non crea l’effetto “suola” che impedirebbe il deflusso dell’acqua. «Purtroppo i terreni della pianura padana non sono uniformi – spiega Cavallini – nel raggio di un chilometro quadrato si possono trovare anche due o tre conformazioni diverse, quindi non è facile fare la semina diretta su sodo, mentre in Argentina e Brasile dove questa tecnica è ampiamente utilizzata da molti anni, è più facile perché i terreni sono uniformi e molto ricchi di sostanza organica».
Il messaggio è chiaro, vedremo se i tecnici regionali incaricati di scrivere i bandi decideranno di coglierlo.
da Nova Agricoltura
Simone Martarello