In Italia la meccanizzazione agraria ha sempre dovuto fare i conti con l’orografia del territorio e in certe zone è veramente poco praticabile, come nel caso della Valtellina.

Oggi si parla molto di viticoltura di precisione e la mente va subito ad una serie di tecnologie (telerilevamento con satelliti, ultraleggeri, droni, ecc.) che consentono di mappare la vigoria della vigna ed eventualmente gestirla in modo più puntuale e sostenibile con la meccanizzazione e/o nonostante la meccanizzazione.

In Valtellina, dove la vigna sembra incollata alla montagna, la precisione è connaturata al contesto e ogni mappa è superflua, poiché con una superficie media vitata per azienda di 3000 m2 le viti si conoscono una ad una.

Terrazzi, muretti a secco e gradinate non consentono altro che il passaggio dell’uomo, quindi c’è veramente pochissimo spazio per le macchine e fa sorridere che in vigneti gestiti quasi completamente a mano possa di tanto in tanto arrivare un elicottero per trasportare le uve appena raccolte nelle gerle e messe in un contenitore più grande a bordo vigna.

Valtellina, così piccola e così affascinante oggi come centinaia d’anni fa, quando riuscì ad impressionare anche Leonardo da Vinci: “Valtolina come detto valle circumdata d’alti terribili monti. Fa vini potentissimi e assai e fa tanto bestiame che da paesani è concluso nascervi più latte che vino. Questa è la valle dove passa Adda, la quale corre più che 40 miglia per la Magna”.

Nel Cinquecento, quindi, le tipicità del territorio erano già vino e formaggio, ma ancora prima la vite si era insediata in questa particolarissima valle. Gli storici del passato identificarono i “vini retici” di Svetonio con quelli della Valtellina, ma studi più recenti hanno collocato l’avvio di una viticoltura importante e specializzata in zona a partire dal XIII secolo.

Esposizione e fertilità

Ma come è possibile che in un’area così a Nord della nostra Penisola si sia sviluppata una viticoltura così pregevole? Il merito è sicuramente del clima e dell’esposizione così particolare della Valtellina rispetto alle altre valli alpine, a cui si aggiunge una naturale fertilità dei suoli, elementi che nell’insieme costituiscono il “genius loci” di quest’area. E di genio della natura ci parla proprio, nel Settecento, Pietro Angelo Lavizzari, nelle sue Memorie istoriche, descrivendo la Valle: “ … buon genio della Natura in un fertile territorio, che delle fatiche loro ben soddisfa gli Agricoltori. La Collina esposta ad oriente e a mezo giorno per il corso continuato di quarantacinque miglia coperta a viti maestrevolmente lavorate, e tutta sostenuta a corone murate non può fare più vaga comparsa, dandosi a credere per un delizioso teatro di Bacco, in cui esso vogli far pompa, e mettere in spalliera i suoi maggiori tesori…” (Lavizzari, 1716).

A fine Settecento, nella “Nuova geografia” di Anton Friedrich Busching, viene tratteggiato un quadro climatico e agricolo della Valtellina, che ancora una volta evidenzia la generale fertilità dei suoli e la differenziazione delle colture a seconda delle particolarità climatiche delle varie aree:

“È una valle fertilissima bagnata dal fiume Adda…. Essa per la sua lunghezza è esposta a’ raggi del Sole, e le montagne la difendono dal vento Settentrionale. In alcune contrade v’è un gran caldo, altre son temperate, e nella maggior parte delle valli minori, e nelle montagne l’aria è fredda. A proporzione della differenza dell’aria i terreni vi sono fertili di differenti prodotti. La pianura della Valle inaffiata dal fiume Adda, e che in più contrade è larga più d’un ora, è piacevole per le praterie, i campi sementati, le vigne, e per le falde coperte di castagni; e d’altri alberi, che vi si veggono a vicenda, ed il terreno in un anno vi produce 2, 3, 3 4 sorti differenti di frutte…. Il principal prodotto del paese è il vino rosso, gagliardo, e grato al palato, che può conservarsi anche 100 anni, e col tempo si fa viepiù saporito, e salubre, e va perdendo il suo color rosso fino a diventar bianco” (Busching, 1777).

Chiavennasca in esclusiva

Ne emerge una sorta di zonazione climatica, empirica, esperienziale, ma efficace, che ci mostra come il clima abbia inciso profondamente sulla conformazione di un paesaggio agricolo che, a dispetto della spregiudicata speculazione edilizia degli ultimi decenni, gli agricoltori valtellinesi hanno cercato di mantenere il più possibile intatto sino ad oggi.

Dagli anni Sessanta ad oggi, in provincia di Sondrio, vigneti, prati stabili e pascoli si sono praticamente dimezzati, sul fondovalle l’urbanizzazione e il consumo di suolo sono dilagati, migliaia di ettari risultano abbandonati, trasformati in bosco o zone incolte. L’ultimo censimento dell’agricoltura, nel 2010, ha fatto rilevare poco più di 700 ettari di vigneto per la produzione di vino a DOC, collocati quasi tutti tra il Comune di Morbegno e quello di Tirano, in circa 60 kilometri di fascia costiera.

Quando si parla di vitigni, l’equazione Valtellina = Nebbiolo è ancora oggi validissima, visto che il Nebbiolo, qui meglio noto come Chiavennasca, costituisce il 90-95% della base ampelografica dei vigneti.

Il fatto strano è che il Nebbiolo è un vitigno tardivo e l’altitudine di solito mal si concilia con le maturazioni in stagione avanzata; non così per la Valtellina, favorita, come si diceva da alcune particolari situazioni ambientali, che vale la pena sintetizzare:

– la valle, specie nella parte vitata, è orientata est-ovest e la costiera pedemontana, alla destra orografica del fiume Adda, gode di esposizione completamente a sud;

– è protetta, a nord e ad est, dalla catena montuosa delle Alpi Retiche, tutta oltre i 3000 metri di altitudine e con vette anche oltre 4.000;

– a sud la catena delle Alpi Orobiche, con cime appena più basse, la racchiude in una specie di anfiteatro;

– la relativa vicinanza del bacino del lago di Como, a sud-ovest, funge da regolatore e mitigatore termico;

– la viticoltura si colloca sulla costiera esposta a sud, con la sola eccezione di due piccoli conoidi posizionati nella parte più ampia della vallata, da quota 300 metri sino ad una massimo di 700 metri.

Ben altri Nebbioli

In queste condizioni il Nebbiolo riesce a perfezionare il giusto grado di maturazione per vini comunque completamente diversi rispetto ai “Nebbioli” di altre zone.

A parte la maturazione dell’uva, sono la maturazione del vino e la pazienza del viticoltore che fanno la differenza, anche nel “portafoglio” di costui, che vede concretizzare i suoi guadagni solo dopo anni (qualcuno dice almeno 8-9 anni) di affinamento.

Infatti sin dal passato i vini di Valtellina erano noti per la loro longevità, ma anche per la loro scarsa immediatezza di beva, che migliorava col tempo e con gli inverni: “E vi provengono (ndr: dalla Valtellina) vini si generosi, che guadagnando perfezione da gli anni a secoli stessi la resistono; e quanto più incontrano di rigido clima ove sono condotti tanto più ottengon di pregio e di fragranza” (Lavizzari, 1716).

Qualcuno azzardava una longevità fino a 100 anni per questi vini, sta di fatto che se il calore della costa faceva maturare le uve, il clima rigido contribuiva a riequilibrare vini, che nascevano, e nascono, piuttosto acidi. L’acidità è il vero “conservante” dei vini di Valtellina.

La mappa della tipicità

Vista la peculiarità del contesto vitivinicolo era inevitabile il riconoscimento della denominazione di origine, che per i vini di Valtellina arriva nel 1968. Nel 1998 viene riconosciuta l’area a DOCG per la produzione del “Valtellina superiore” e nel 2003 arriva anche il disciplinare per il vino più caratteristico dell’area, lo “Sforzato di Valtellina DOCG”, accompagnato dalla DOC “Rosso di Valtellina”.

Un’area molto piccola, ma molto ricca di Denominazioni, ben due DOCG e una DOC.

Per la diversità dei terreni e delle esposizioni, l’area del Valtellina Superiore è stata suddivisa in cinque sottozone: partendo da Ovest si incontra dapprima la sottozona di Maroggia, forse la meno nota, cui segue Sassella, che ha un’estensione di circa 130 ettari e per i suoi vini morbidi ed eleganti viene ritenuta da molti la più interessante. Si passa poi al versante a Nord-Est di Sondrio in cui si colloca la sottozona Grumello, dove si ottengono i vini a maggiore concentrazione, e a seguire l’areale dell’Inferno, la zona più piccola, più calda e più impervia della vallata, che produce i vini più alcolici e strutturati della DOCG. Infine la sottozona di Valgella, la più grande delle cinque, che dà vini leggermente più morbidi e delicati.

Il disciplinare del Valtellina Superiore prevede per tutte le sottozone una produzione massima di 80 quintali d’uva per ettaro e un affinamento minimo del vino di 24 mesi, di cui almeno 12 in botti di rovere. Dopo un invecchiamento minimo di tre anni, il vino può fregiarsi della qualificazione “riserva”, anche se i “puristi” del vino di Valtellina cercano di resistere qualche anno in più prima di mettere in bottiglia, anche senza qualificazioni ulteriori in etichetta, perché l’esperienza, la fatica e la passione di generazioni di vignaiuoli va rispettata.

E se vi aprissero una bottiglia di Valtellina DOC del 1983 e lo trovaste “perfetto”, non vi viene il dubbio che la fretta sia davvero una cattiva consigliera?

 

da Vigne Vini
Marisa Fontana